La giurisprudenza di legittimità è divisa in ordine alla configurabilità o meno del reato di detenzione di piante da stupefacenti. Sul punto è dovuto intervenire anche l'ufficio del massimario. Di fatto non esiste una certezza sul punto e ogni caso, viene trattato valutando la singola specificità. 
Così, ad esempio, si è ritenuto non sussistere il reato nel caso in cui si deteneva una singola piantina di canapa indiana sul balcone di casa.
In altre sentenze si è valutato se la piantina avesse o meno efficacia drogante, come nel caso in cui non abbia ancora raggiunto la maturità.
Certo è che vi sono altre sentenze in cui si sostiene che è reato anche la detenzione di poche piantine. Si ritiene, in queste sentenze, sussistere il reato essendo messo in pericolo il bene della salute e considerando la detenzione come un pericolo per la messa in circolazione di ulteriore sostanza stupefacente.
Sono da ultimo intervenute le Sezioni Unite le quali hanno osservato che: "spetta al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva, mettendo in luce, tuttavia, un ulteriore atteggiamento interpretativo di non poche conseguenze pratiche in 3 termini di ricadute sulla punibilità effettiva delle singole fattispecie: secondo la citata sentenza, infatti, la condotta è "inoffensiva", soltanto se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo (irrilevante è a tal fine il grado dell'offesa), sicché, con riferimento allo specifico caso della coltivazione di piante, la "offensività" non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile."