La Suprema Corte, trovandosi a trattare di circolazione di natanti, ha ribadito alcuni principi già espressi in tema di circolazione stradale, conformandosi ad essi.
In particolare, gli Ermellini hanno affermato che qualora la messa in circolazione di un veicolo avvenga in condizioni d’insicurezza e che tale insicurezza dipenda dall’azione o dall’omissione non solo della persona trasportata, ma anche del conducente, fra tali soggetti si deve ritenere formato un consenso alla circolazione medesima, perciò con una partecipazione consapevole di entrambi alla condotta colposa dell’altro, nonché all’accettazione dei conseguenti rischi.
In un’ipotesi siffatta, quindi, si verificherà una forma di cooperazione nel fatto colposo, ovvero una cooperazione nel’azione che ha prodotto l’evento.
In ogni caso, a parte l’eventuale responsabilità verso terzi, il conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza) sarà tenuto a risarcire, secondo quanto statuito dagli art. 2043, 2056 e 1227 c.c., il pregiudizio all’integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell’incidente.
La cooperazione di cui sopra, infatti, non può ritenersi sufficiente a interrompere il nesso causale fra la condotta del conducente e il danno, né a integrare un valido consenso alla lesione subita, giacché in tal caso si verte in materia di diritti indisponibili.