La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 27326 di data 01.10.2020), dirimendo un contrasto giurisprudenziale sorto in seno ad essa, ha affermato che il concetto di “abuso di autorità” di cui all’art. 609 bis C.P. non presuppone necessariamente la sussistenza di una posizione autoritativa che abbisogni di un riconoscimento formale e pubblicistico, ma sussiste anche qualora la posizione di supremazia sia di natura privata ovvero risulti sussistente di fatto tra le parti.

Per la Corte, inoltre, l’esistenza di questa “autorità”, va inequivocabilmente dimostrata attraverso un’analisi concreta della dinamica dei fatti idonei a porre in luce un rapporto di soggezione effettivamente intercorrente tra l’agente e la vittima del reato.

Si deve, poi, dimostrare l’esistenza di una stretta correlazione tra l’abuso di autorità e le conseguenze della stessa sulla capacità di autodeterminazione della persona offesa. In buona sostanza, una volta accertata l’esistenza di un rapporto di autorità tra autore e vittima, bisogna altresì provare che l’agente abbia ne abbia abusato al fine di costringere la persona offesa a compiere o subire un atto sessuale al quale non avrebbe in altro contesto consentito. Si esclude, in tal modo, la possibilità di procedere in via meramente presuntiva.