Bisogna premettere che in tema di coltivazione domestica le pronunce erano spesso contraddittorie. Ora, sono intervenute anche le Sezioni Unite sperando che il contrasto sia definitivamente risolto. Ovviamente ogni caso fa storia a se e quindi bisognerà verificare la peculiarità del caso di specie.

La Corte di Cassazione, con sentenza pronunciata a Sezioni Unite (sentenza n. 12348 del 16 aprile 2020), a seguito di ricorso presentato da un trentenne condannato ad un anno di reclusione ed € 3.000,00 di multa per aver coltivato amatorialmente in casa 2 piantine di marijuana ed essere stato trovato in possesso di 11 grammi di cannabis a titolo di “scorta personale”, ha stabilito che non integra l’ipotesi di reato di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990 (rubricato “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope”), la coltivazione domestica della marijuana purché questa sia destinata ad uso strettamente personale del solo “coltivatore”.

Ecco di seguito il principio di diritto enunciato dalla Corte: “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

Per la Corte di Cassazione, in sostanza, mancava la tipicità penale nella condotta tenuta dal trentenne in quanto, per l’appunto, la produzione era destinata a soddisfare il fabbisogno esclusivo del soggetto e non era finalizzata ad una “commercializzazione”. Per i medesimi magistrati, tuttavia, in presenza di una condotta siffatta, è pur sempre possibile applicare al “coltivatore” le sanzioni amministrative di cui all’art. 75, D.P.R. 309/1990, considerando il soggetto non quale coltivatore per l’appunto, ma quale detentore di sostanza destinata a uso personale.

È possibile quindi riassumere in tal modo la pronuncia della Suprema Corte: I) è consentita e lecita la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo (ovviamente ogni caso andrà valutato nella sua specificità e quindi bisognerà valutare il singolo caso concreto, per escludere che vi siano altri elementi per sostenere che almeno in parte, la sostanza fosse destinata allo spaccio ndr.), II) la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata a consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane tuttavia soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell’art. 75 del D.P.R. n. 309/1990, il quale prevede come possibile, l’applicazione delle seguenti sanzioni amministrative: a) sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla, b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla, c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli, d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.