Ai ritardatari cronici sarà sicuramente capitato di dimenticarsi di riscuotere la somma vinta al Totocalcio entro il termine previsto.

Nessun pericolo, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 30865 dd. 29.11.2018) il vincitore non perde il diritto ad incassare la somma, dovrà semplicemente seguire un iter più complesso.

Nel caso di specie lo sbadato vincitore di € 51.014,00, aveva agito nei confronti dei Monopoli di Stato per ottenere il pagamento della vincita medesima, la cui riscossione era stata rifiutata in quanto la domanda era stata presentata tre giorni dopo la scadenza del termine di 3 mesi previsto dal relativo regolamento (Decreto Ministero Economia dd. 13.06.2003 n. 179, ovverosia il regolamento recante la disciplina dei concorsi pronostici). Il Tribunale, in particolare, argomentava che “le uniche modalità di riscossione erano previste presso gli sportelli degli istituti di credito o presso i punti di pagamento e che la decadenza era collegata alla mancata verifica della ricevuta di partecipazione, presso i predetti punti vendita e gli sportelli, entro il termine di 90 giorni dalla pubblicazione del bollettino ufficiale”, affermando altresì come l’interpretazione dell’art. 17 del Regolamento non potesse prevedere contestualmente un termine di decadenza e il riconoscimento della sussistenza del credito.

La Corte di Appello adita, però, ribaltava tale decisione del Tribunale, evidenziando, in particolare, come l’espressione “ferma la sussistenza del credito maturato” contenuta nell’articolo 17 del Regolamento significava che il credito, ove maturato, restava fermo oltre il termine di decadenza di 90 giorni, che riguarderebbe solamente una modalità di riscossione più agevole presso gli sportelli e i punti vendita. Insomma il vincitore sbadato, qualora non rispetti il termine di 90 giorni, avrebbe comunque la possibilità di agire ma attraverso la procedura prevista per la riscossione delle vincite superiori a 100 mila euro.

La decisione e l’iter argomentativo seguito dalla Corte d’Appello è quindi stato poi confermato dalla Corte di Cassazione.