I genitori di un figlio affetto dalla sindrome di Down, avevano proposto ricorso innanzi al Tribunale, al fine di veder riconosciuto il loro diritto al risarcimento del danno a fronte del comportamento omissivo del medico durante la gravidanza della donna. Il medico in questione, infatti, aveva omesso di prescrivere, nei primi mesi di gravidanza della donna, un’amniocentesi che avrebbe evitato alla donna la “sorpresa” di veder nascere un figlio affetto da tale sindrome. In conseguenza della nascita del bambino, infatti, nella madre era insorta una nevrosi ansioso-depressiva.
Il ricorso promosso dai genitori, veniva però rigettato dal Tribunale. Veniva quindi promosso ricorso in appello.
Anche la Corte territoriale, tuttavia, rigettava la domanda risarcitoria formulata dai ricorrenti giacché, a detta dei giudici, la violazione dell’obbligo informativo gravante sul medico, così come espresso nell’appello proposto dai genitori, “non era stato ricondotto all’impossibilità, da parte della madre, di far luogo all’interruzione della gravidanza, ma unicamente al fatto di non aver potuto proseguire la gravidanza con la consapevolezza di avere in grembo un feto affetto dalla sindrome di Down”.
In sostanza, a detta della Corte d’Appello, il fatto che il medico non avesse informato tempestivamente la donna, non poteva dar luogo al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, soprattutto in virtù del fatto che la donna si era rifiutata, alcuni mesi dopo, di sottoporsi ad amniocentesi su invito della struttura ospedaliera. Tale rifiuto della donna, veniva individuato dai giudici come causa di per sé sufficiente a determinare l’evento dannoso (la nascita del feto affetto dalla sindrome) e ad elidere conseguentemente l’efficacia causale del comportamento inadempiente del medico.
La Suprema Corte adita, in riforma della sentenza della Corte d’Appello, ha riconosciuto però il diritto della donna al risarcimento del danno. I Giudici di ultima istanza, hanno infatti fatto notare come dal medico non fu immediatamente consigliato alla madre di sottoporsi all’amniocentesi. Tale mancata informazione, aveva sostanzialmente portato la donna a confidare nella regolarità della gravidanza.
Nel momento in cui poi l'amniocentesi le venne invece effettivamente prescritta dalla struttura sanitaria, erano trascorsi cinque mesi dall’inizio della gestazione e quindi la gravidanza era oramai ad uno stato più avanzato, ed era perciò mutato il bene coinvolto dalla scelta, atteso che il feto ormai aveva alcuni mesi in più. Ad essere mutata, però, non era soltanto la situazione clinica della donna, ma anche la sua situazione psicologica.
Infatti, inizialmente la situazione psicologica della donna era di totale incertezza. In tale stato psicologico, fondamentale era perciò l’affidamento prestato dalla donna al medico. Il fatto che il sanitario non le avesse prescritto l’amniocentesi, aveva in sostanza ingenerato nella donna uno stato di completa fiducia e certezza nel buono stato del feto e del successivo buon esito della gravidanza.
A ciò si aggiunga che la mancata esecuzione della prestazione informativa da parte del sanitario, ha precluso altresì alla donna la possibilità di conoscere lo stato del feto fin dal momento in cui essa si è rivolta al medico stesso.
Deve perciò, a detta della Suprema Corte: “riconoscersi un’efficacia causale all’inadempimento del medico per quella parte del danno che si individui come determinata dalla perdita della chance di conoscere lo stato del feto ben prima dell’esito della gravidanza”.