Costituisce abuso punibile a norma dell' articolo 571 del Cp (tale che, anzi, nella ricorrenza dell'abitualità e del necessario elemento soggettivo, può integrare anche il reato di maltrattamenti punito dall'articolo 572 del Cp) anche il comportamento doloso, attivo od omissivo, mantenuto per un tempo apprezzabile, che umilia, svaluta, denigra e sottopone a sevizie psicologiche un bambino, causandogli pericoli per la salute, anche se compiuto con soggettiva intenzione correttiva o disciplinare. In una tale ottica, dovendosi ritenere sussistente il «pericolo di malattia nella mente», richiesto per la punibilità del fatto, ogni qualvolta ricorra il concreto rischio di rilevanti conseguenze sulla salute psichica del soggetto passivo: ed è opinione comune, nella letteratura scientifico-psicologica, che metodi di educazione rigidi e autoritari, che utilizzino comportamenti violenti o costrittivi siano non soltanto pericolosi, ma anche dannosi per la salute psichica del bambino, potendo essere responsabili di una serie di disturbi variegati e complessi. (Dallo stato d'ansia all'insonnia e alla depressione, fino a veri e propri disturbi caratteriali e comportamentali nell'età adulta, allorquando il trauma si sia verificato nei primi anni di vita).

Nel caso concreto la Suprema Corte ha ritenuto che non si potesse considera il comportamento del patrigno quale semplice "sottocultura o maleducazione", ma che dovesse configurarsi il reato di maltrattamenti, considerato anche l'apprezzabile lasso di tempo in cui si sono verificati gli episodi contestati. Si aggiunga infine che il reato non viene meno se ogni tanto vi erano momenti di serenità in famiglia, se nel complesso, vi era la volontà di denigrare.