E' incontestabile che l'attività medico - chirurgica, per essere legittima, presuppone il "consenso" del paziente, che non si identifica con quello di cui all'art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento: infatti, il medico, di regola ed al di fuori di taluni casi eccezionali (allorchè il paziente non sia in grado per le sue condizioni di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p.), non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. In questa prospettiva, il "consenso", per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere "informato", cioè espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti negativi della terapia o dell'intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l'indicazione della gravità degli effetti del trattamento. Il consenso informato, infatti, ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Tale conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall'art. 32 Cost., (per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge), sta a significare che il criterio di disciplina della relazione medico - malato è quello della libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario (Cass. pen. Sez. 4, n. 37077 del 24.6.2008, rv. 240977).

 

Di certo, la mancanza del consenso (opportunamente informato) del malato o la sua invalidità per altre ragioni, determina l'arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, In quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo, ma la valutazione del comportamento del medico, sotto il profilo penale, quando si sia in ipotesi sostanziato in una condotta (vuoi omissiva, vuoi commissiva) dannosa per il paziente, non ammette un diverso apprezzamento a seconda che l'attività sia stata prestata con o in assenza di consenso.

 

Cosicchè il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente. Con la precisazione che non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perchè l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza, essendo l'acquisizione del consenso preordinata a evitare non già fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), bensì a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione del richiamato art. 32 Cost., comma 2.

 

E ciò salvo che la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l'impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un'anamnesi completa; in questo caso, il mancato consenso rileva come elemento della colpa non direttamente, ma come riflesso del superficiale approccio del medico all'acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico (v.ancora, Cass. pen. Sez. 4, n. 37077 del 2008 sopra citata), Ma va comunque precisato che nel campo della chirurgia estetica, cui è finitima quella maxillo-facciale, non è riscontrabile, di norma, il carattere dell'urgenza (che implica una contrazione del dovere d'informazione) ed è stato messo in dubbio che l'intervento abbia sempre un carattere terapeutico, anche se è stata sostenuta la tesi opposta, in quanto tali operazioni possono ovviare a vere e proprie sindromi di malessere psicologico. Ne consegue che, attese anche le finalità tipiche di questa tipologia di interventi - ossia quelle di migliorare l'aspetto fisico del paziente e di incrementarne la positività della sua vita di relazione e, in quello maxillo-facciale specifico, di regolarne la postura dentale - incombe sul sanitario un dovere particolare di informazione che va oltre la semplice enumerazione e prospettazione dei rischi, delle modalità e delle possibili scelte. La valutazione dei miglioramenti estetici e di quelli, strettamente connessi, posturali dentali deve estendersi ad un giudizio globale sulla persona come questa risulterà dopo l'intervento e non può, quindi, limitarsi ai soli effetti dati dalla riuscita dell'intervento medesimo.

 

Dunque il consenso informato, anche se corretto e adeguato e corrisposto dalla reale ed integrale comprensione del paziente (cosa di cui nel caso di specie persino i giudici di merito mostrano di dubitare, avendo fatto ricorso alla tesi della "focalizzazione" dell'attenzione della donna sulle conseguenze di natura estetica più che su quelle funzionali e degenerative), non vale ad escludere la colpa del medico che abbia operato negligentemente o imperitamente ovvero in violazione delle leges artis e specie laddove tali leges non siano, in concreto, nemmeno ben chiare.

 

Nè va sottaciuto che, ammesso pure che il medico abbia approfonditamente esaminato e studiato con gli opportuni mezzi tecnici del caso tutte le possibili evoluzioni dell'intervento sul viso della paziente e doverosamente informato la paziente, una volta che abbia rilevato l'estrema aleatorietà, ben dovrebbe comunque sconsigliarlo e persino rifiutarsi di eseguirlo, indipendentemente dall'inserimento di tale intervento in un più generale disegno concordato con altri specialisti per emendare il difetto estetico della donna. Ne consegue che a nulla rileva ex se, ai fini dell'esclusione della responsabilità, l'eventuale adeguatezza della comunicazione ed illustrazione dei rischi connessi all'intervento al paziente che si risolva, ciononostante, ad affrontarlo.