Con la recente sentenza n. 40/2019 (depositata in data 08.03.2019) la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309/1990 (Testo unico stupefacenti), nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei.

Le questioni sono state sollevate nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto una fattispecie di detenzione di circa cento grammi di cocaina, occultati all’interno di tre condensatori per computer, contenuti all’interno di un pacco proveniente dall’Argentina, il quale vedeva l’imputato condannato alla pena di anni  quattro di reclusione e 14.000 euro di multa, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e l’applicazione della diminuente per il rito. Trattandosi a parere del giudice di prime cure di sostanza destinata alla cessione a terzi, era stata negata la possibilità di inquadrare il fatto nell’ipotesi di lieve entità, che prevede una cornice edittale di pena da sei mesi a quattro anni.

Su tali basi, la Corte d’appello di Trieste ha ritenuto che sussistano i presupposti per sollevare le questioni di legittimità costituzionale, per contrasto dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 con gli artt. 25, 3 e 27 Cost.

La Corte Costituzionale ha condiviso le doglianze del giudice di secondo grado, ritenendo che abbia  individuato nell’ordinamento una soluzione costituzionalmente adeguata, e cioè l’abbassamento del minimo edittale per il fatto previsto dal comma 1 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 da otto a sei anni, misura a suo tempo prevista dall’art. 4-bis del d.l. n. 272 del 2005 e tuttora in vigore, come pena massima, per la fattispecie ordinaria delle droghe “leggere”.

Non sarebbe infatti giustificabile la permanenza di una così forte disparità di trattamento, tenendo conto della cornice edittale delle fattispecie di lieve entità. Molti fatti di spaccio si collocherebbero infatti in una “zona grigia” al confine fra reato non lieve e reato lieve, il che renderebbe non giustificabile un tale divario sanzionatorio. A parere della Corte infatti quest’ultimo condizionerebbe inevitabilmente la valutazione complessiva che il giudice di merito deve compiere al fine di accertare la lieve entità del fatto, con il rischio di dar luogo a pene inique.

Ne deriva quindi la violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., oltre che del principio di rieducazione della pena di cui all’art. 27 Cost.