Secondo la Cassazione (sentenza n. 10342 dd. 17.03.2020), il reato di invasione di terreni ed edifici, di cui all’art. 633 C.P., richiede, per la sua integrazione, che il “bene immobile altrui sia in qualche modo e per qualche tempo assoggettato ad un potere di fatto del soggetto agente, sicché il delitto non è integrato dalla condotta di chi si introduca precariamente nel fondo altrui. L’integrazione della fattispecie criminosa di invasione di terreni o edifici, infatti, implica che la permanenza sull’altrui bene immobile si protragga nel tempo per una durata apprezzabile, ancorché non sia necessario che l’agente rimanga stabilmente su di essi, purché, però, la condotta risulti effettivamente rivolta all’occupazione dell’immobile ovvero a trarne in altro modo profitto”.

Nel caso di specie, un soggetto aveva proposto ricorso innanzi al Supremo consesso poiché era stato condannato (con sentenza riformata in appello), per il reato di cui all’art. 633 C.P. in quanto, con il proprio scooter, era entrato nel terreno del vicino “a fare manovra” nonostante il divieto espresso dei proprietari.

La Corte di Cassazione, quindi, riconoscendo il carattere del tutto occasionale ed episodico dell’accesso nel terreno, ha annullato la sentenza della Corte d’Appello per l’insussistenza del fatto.