La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale, con la quale il soggetto, in virtù di quanto previsto dalla Legge n. 633 del 1941 (che tutela il diritto d’autore), era stato condannato alla pena detentiva e al pagamento di una consistente multa.

In particolare, il soggetto era stato condannato per violazione dell’art. 171-ter, comma 1, lettera f-bis della Legge n. 633 del 1941, il quale prevede che chiunque: “fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l'uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all'art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l'elusione di predette misure. Fra le misure tecnologiche sono comprese quelle applicate, o che residuano, a seguito della rimozione delle misure medesime conseguentemente a iniziativa volontaria dei titolari dei diritti o ad accordi tra questi ultimi e i beneficiari di eccezioni, ovvero a seguito di esecuzione di provvedimenti dell'autorità amministrativa o giurisdizionale”.

In sostanza, il soggetto in questione, aveva detenuto, per scopi commerciali, 140 dispositivi denominati modchip, consistenti in circuiti elettronici atti a eludere le misure tecnologiche di protezione contro la pirateria informatica apposte su videogiochi e console.

Il soggetto, quindi, ricorreva in cassazione lamentando che l’apposizione di una misura tecnologica di protezione da parte del venditore (quali ad esempio Microsoft e Nintendo), configurerebbe una violazione del diritto dell’acquirente del prodotto medesimo di farne copia al fine di preservare l’originale dallo smarrimento o dal consumo derivante dall’uso, nonché una violazione alla libera manifestazione del pensiero.

La Suprema Corte, ha affermato l’inammissibilità della questione, giacché nel caso non è dato riscontrare alcuna violazione al diritto dell’acquirente del prodotto informatico in quanto la legge può ben prevedere, come nel caso di specie, delle limitazioni al diritto di proprietà. Anzi, tale limitazione all’esercizio del diritto realizza un congruo contemperamento con il diritto d’autore sull’opera dell’ingegno.

Proseguendo nella propria disamina, la Corte afferma altresì che la Legge n. 633 del 1941, all’art. 102-quater prevede che: “i titolari di diritti d'autore e di diritti connessi nonché del diritto di cui all'articolo 102-bis, comma 3, possono apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti" (comma 1) e che le misure tecnologiche di protezione siano "considerate efficaci nel caso in cui l'uso dell'opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l'applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell'opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l'obiettivo di protezione" (comma 2).

Tale disposizione si pone in stretta relazione con l’art. 171-ter, comma 1, lettera f-bis della Legge medesima.  L’articolo in questione, infatti, anticipando la soglia di punibilità della condotta, punisce la semplice detenzione delle console modificate ovvero dei relativi dispositivi volti a neutralizzare le misure tecnologiche di protezione.