Secondo l'orientamento ribadito anche di recente dalla Suprema Corte, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, corrispondente all'ammontare dell'imposta evasa, può essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l'indebito arricchimento derivante dall'azione illecita, che cessa con l'adempimento dell'obbligazione tributaria (Sez. 3, n. 20887 del 15/4/2015, Rv. 263408, Sez. 3, n. 46726 del 12/07/2012, Rv. 253851, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010 - dep. 11/03/2011, Rv. 249752) E' stato evidenziato come la ratio legis contenuta nelle norme che prevedono il sequestro e la confisca per equivalente nei reati tributari, imponga di ritenere che solo l'adempimento completo dell'obbligazione tributaria faccia venir meno la ragione giustificativa della misura ablatoria, non rilevando quindi ai fini della revoca della misura la mera rateizzazione del pagamento (che rileva sul piano amministrativo - tributario determinando la sospensione della procedura esecutiva di recupero), non essendo questa un'ipotesi equiparata all'adempimento. Tuttavia, come si rileva dalla lettura della  sentenza 46726/2012, se è ben vero che il mantenimento della misura ablativa è giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero completo delle imposte evase a favore dell'amministrazione finanziaria, con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente (momento superato il quale non ha più ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo), è altrettanto innegabile che il raggiungimento di un accordo per la rateizzazione del debito tributario con l'Amministrazione finanziaria non possa esplicare i suoi effetti soltanto nel limitato campo amministrativo, dovendosene estendere la portata anche nel campo penale, finendo necessariamente per incidere sul quantum della somma sequestrata per equivalente, in relazione al profitto derivato dal mancato pagamento dell'imposta evasa.

Il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca nel suo quantum iniziale, nonostante il pagamento - sebbene parziale - del debito erariale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l'espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato (Sez. 3, n. 3260 del 4/4/2012 - dep. il 22/1/2013, Rv. 254679).

E' appena il caso di ricordare che, per analoghe ragioni, la Suprema Corte ha concluso che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto corrispondente all'imposta evasa non possa essere mantenuto qualora, a seguito di procedura coattiva di pignoramento presso terzi, intrapresa dall'agente della riscossione D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 72 bis, il debito di imposta sia stato integralmente adempiuto dal terzo debitore in luogo del contribuente effettivamente obbligato verso l'Amministrazione finanziaria, posto che, per effetto di questa operazione solutoria, non residua all'indagato alcun indebito arricchimento o vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa (Sez. 3, n. 6635 dell' 8/1/2014, Rv. 258904).