E’ legittima la pena fissa dell’ergastolo? La Corte Costituzionale ha dichiarato non conforme la durata fissa delle pene accessorie previste dall’art. 216 L. Fall. In particolare, tra l’altro ha avuto modo di osservare che “secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato è riservato alla discrezionalità del legislatore, in conformità a quanto stabilito dall’art. 25, secondo comma, Cost.; tuttavia, tale discrezionalità incontra il proprio limite nella manifesta irragionevolezza delle scelte legislative, limite che – in subiecta materia – è superato allorché le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto quale reato. In tal caso, si profila infatti una violazione congiunta degli artt. 3 e 27 Cost., giacché una pena non proporzionata alla gravità del fatto (e non percepita come tale dal condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis, sentenze n. 236 del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). Affinché poi la pena inflitta al singolo condannato non risulti sproporzionata in relazione alla concreta gravità, oggettiva e soggettiva, del fatto da lui commesso, il legislatore stabilisce normalmente che la pena debba essere commisurata dal giudice tra un minimo e un massimo, tenendo conto in particolare della vasta gamma di circostanze indicate negli artt. 133 e 133-bis cod. pen., in modo da assicurare altresì che la pena appaia una risposta – oltre che non sproporzionata – il più possibile “individualizzata”, e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione del mandato costituzionale di “personalità” della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost. L’esigenza di «mobilità» (sentenza n. 67 del 1963), o «individualizzazione» (sentenza n. 104 del 1968), della pena – e la conseguente attribuzione al giudice, nella sua determinazione in concreto, di una certa discrezionalità nella commisurazione tra il minimo e il massimo previsti dalla legge – costituisce secondo questa Corte «naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d’uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale» (sentenza n. 50 del 1980), rispetto ai quali «l’attuazione di una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione più che l’uniformità» (così, ancora, la sentenza n. 104 del 1968). Con la rilevante conseguenza, espressamente tratta dalla citata sentenza n. 50 del 1980, che «[i]n linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il “volto costituzionale” del sistema penale; ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato». Come è stato osservato a commento della sentenza n. 50 del 1980: se la “regola” è rappresentata dalla “discrezionalità”, ogni fattispecie sanzionata con pena fissa (qualunque ne sia la specie) è per ciò solo “indiziata” di illegittimità; e tale indizio potrà essere smentito soltanto in seguito a un controllo strutturale della fattispecie di reato che viene in considerazione, attraverso la puntuale dimostrazione che la peculiare struttura della fattispecie la renda “proporzionata” all’intera gamma dei comportamenti tipizzati. Così come, peraltro, avvenne nel caso della disposizione scrutinata nella sentenza n. 50 del 1980. 7.2.– È alla luce di tali, pacifici, principi che deve essere vagliata la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 216, ultimo comma, della legge fallimentare….”
C’è da chiedersi se le medesime argomentazioni siano valide anche per quei reati o per quelle aggravanti che prevedono, in caso di condanna, la sola pena dell’ergastolo senza dare margine al Giudice di individualizzare la pena in base al caso concreto e alla personalità del reo.