La Corte Suprema ha chiarito che il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d'imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto è solo con il maturare di tale termine che si verifica l'evento dannoso per l'erario, previsto dalla fattispecie penale, ed è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva (cfr. Sez. un., n. 37425 del 28.3.2013, Favellato, rv. 255760: sez. 3, n. 25875 del 26.5.2010, Olivieri, rv. 248151). Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art.10 bis, "Omesso versamento di ritenute certificate", introdotto con l'art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2014, n. 311 (Legge finanziaria per l'anno 2005), prevede che: "1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta". A norma del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10bis inserito con il D.L. 4 luglio 2006, art. 35, comma 7, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del 2006, la sanzione prevista dall'art. 10 bis, per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Con l'intervento legislativo del luglio 2006 è stata, dunque, introdotta una nuova fattispecie criminosa, diretta a sanzionare l'omesso versamento dell'IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale, cui è stata estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente art. 10 bis, in forza del quale è punito "con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d'imposta" (da intendersi per i fatti commessi sino al 17.9.2011 superiore, per ciascun periodo d'imposta, a 103.931,38 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 8.4.2014 n. 80 - in GU la Serie Speciale - Corte Costituzionale n.17 del 16-4-2014 e quindi produttiva di effetti dal 17.4.2014 - che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 10ter nella parte de qua). Con il già citato dictum delle Sezioni Unite della Suprema Corte si è ribadito che il reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10bis, si consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad Euro cinquantamila delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale (e si è anche precisato che, non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con l'art. 13, comma primo, D.Lgs n. 471 del 1997. che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso versamento periodico delle ritenute alla data delle singole scadenze mensili, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni (Sez. Unite n. 37425 del 28.3.2013, Favellato, rv. 255759). Il momento consumativo del reato di cui all'art. 10 ter in materia di IVA è individuato, a sua volta, alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Tale termine è fissato dallaL. n. 405/90, art. 6 co. 2, al 27 dicembre. Conseguentemente per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l'omissione del versamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento. Condivisibilmente è stato precisato che in tema di omesso versamento IVA, il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10ter, consiste nel mancato versamento all'erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di "IVA per cassa", è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme- corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758; sez. 3, n. 19099 del 6.3.2013, Di Vora, rv. 255327). Conseguentemente, la Corte Suprema, in tema di elemento soggettivo, ha di recente affermato a Sezioni Unite in due sentenze il principio che, mentre molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo nè dell'art. 10 bis, e nemmeno del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10ter, che pertanto sono puniti a titolo di dolo generico (così, per l'art. 10 bis. Sez. Unite n. 37425 del 28.3.2013, Favellato, rv. 255759 e per l'art. 10 ter Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758). Per la commissione di tali reati, basta, in altri termini, la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, con la precisazione che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia dei cinquantamila Euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo è insita, in genere, nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonchè i versamenti relativi o della dichiarazione IVA. Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il sostituto d'imposta effettua tali erogazioni, deriva, quindi, a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute all'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. Nelle sentenze delle SS.UU. sopra citate si ricorda anche che l'introduzione della norma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 , art. 10bis, e poi quella di cui all'art. 10 ter, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la loro applicazione, hanno esteso l'esigenza di organizzazione dei propri pagamenti all'Erario da parte del sostituto d'imposta su scala annuale. Non può, dunque - secondo l'interpretazione delle SS.UU. essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta (cfr. sul punto anche sez. 3, n. 37528 del 12.6.2013, Corlianò, rv. 257683). Le Sezioni Unite scrivono, anche, nella citata sentenza n. 37424/13: "Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta (per l'esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sè considerate v., in riferimento alla parallela norma dell'art. 10 bis, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale)". Le SS.UU. dunque, richiamano la giurisprudenza della V Sezione che ha già più volte stabilito, in materia di omesso versamento di ritenute previdenziali che il reato è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (sez. 3, n. 13100 del 19.1.2011, Biglia, Rv. 249917; conf. sez. 3, n. 29616 del 14.6.2011, Vescovi, rv. 250529). Per la sussistenza dei reati de quo, basta la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato mentre, secondo l'insegnamento delle citate SS.UU. Favellato e Romano è, invece, irrilevante il fine perseguito dall'agente e, più in particolare, la circostanza se il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte (ex plurimis, sez. 3, 19 gennaio 2011, n. 13100, rv. 249917; sez. 3, 26 maggio 2010, n. 25875, rv. 248151). Come più volte precisato dalla Corte di legittimità in relazione a fattispecie analoghe (cfr. questa sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. 4.2.2014, Mercutello, rv. 258055; sez. 3, n.15416 dell'8.1.2014, Tonti, non massim.) rispetto a tale quadro giuridico e normativo, la situazione di colui che non versa l'imposta si risolve, di regola, in una condotta, cosciente e volontaria, la quale, in modo progressivo, si articola, in un primo momento, con il mancato accantonamento delle somme trattenute; successivamente con l'omesso versamento mensile secondo le cadenze previste dalla normativa tributaria; ed infine con la prosecuzione della condotta omissiva fino al termine ultimo fissato dalla norma penale. Poichè colui che ha percepito l'IVA o il sostituto di imposta, quale debitore di una somma costituente reddito per il sostituito, deve, allorchè procede al versamento in favore di quest'ultimo, trattenere una percentuale di questo emolumento (c.d. ritenuta alla fonte) per poi versarlo all'erario entro il sedici del mese successivo a quello nel quale ha operato la trattenuta, è stato condivisibilmente sottolineato nella sentenza n. 15416/14 e va qui ribadito che gli spazi per ritenere l'assenza dell'elemento soggettivo o la sussistenza della scriminante della forza maggiore quale conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità appaiono, all'evidenza, oggettivamente ristretti. Va evidenziato che nell'ormai ricorrente casistica dei motivi dell'illiquidità che si assume essere incolpevole e che si chiede poter scriminare il mancato pagamento di tributi all'Erario vengono per lo più sottoposte all'attenzione della Suprema Corte, insieme o in alternativa: a) l'aver ritenuto di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, onde evitare dei licenziamenti; b) l'aver dovuto pagare i debiti ai fornitori, pena il fallimento della società; c) la mancata riscossione di crediti vantati e documentati, spesso nei confronti dello Stato. Ebbene, nessuna di queste situazioni, seppure provata, può integrare ex se l'invocato stato di necessità ex art. 54 c.p. Non lo è, in primis, la pur comprensibile scelta di adempiere prioritariamente alle obbligazioni di pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. L'art. 54 c.p., esclude, infatti, la punibilità per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Ed è pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte che con l'espressione "danno grave alla persona", il legislatore abbia inteso riferirsi ai soli beni morali e materiali che costituiscono l'essenza stessa dell'essere umano, come la vita, l'integrità fisica (comprensiva del diritto alla salute), la libertà morale e sessuale, il nome, l'onore, ma non anche quei beni che, pur essendo costituzionalmente rilevanti, contribuiscono al completamento ed allo sviluppo della persona umana (cfr. sul punto la già citata sentenza di questa sez. 3 n. 15416/2014). Pur essendo dunque fuori discussione che il diritto al lavoro è costituzionalmente garantito e che il lavoro contribuisce alla formazione ed allo sviluppo della persona umana, deve escludersi, tuttavia, che la sua perdita costituisca in quanto tale un danno grave alla persona sotto il profilo dell'art. 54 c.p. (cfr. sul punto sez. 1, 23 gennaio 1997, n. 4323, P.M. in proc. Baiocco ed altri, rv. 207434). Analogamente nessuna conseguenza può discendere in termini di punibilità, in ogni caso, dalla circostanza che il mancato pagamento dei creditori diversi dall'Erario sia stato ritenuto necessario in quanto si è ritenuto di dover prioritariamente pagare altri creditori, tra cui i fornitori, per scongiurare il fallimento della società. E ciò sia perchè il fallimento avrebbe ben potuto essere richiesto dallo stesso Erario proprio in relazione ai crediti tributari, sia perchè la semplice necessità di scongiurare il fallimento non è sufficiente ad integrare l'ipotesi di forza maggiore sopra delineata. In ultimo, nessuna autonoma rilevanza può derivare dal fatto che il ricorrente provi di vantare crediti verso terzi che non sia riuscito ad esigere. E ciò vale anche se il terzo debitore sia lo Stato o un altro ente pubblico, laddove l'interessato abbia nei confronti dello stesso rapporti di tipo contrattuale, ad esempio per la prestazione di servizi. La legge, infatti, disciplina in maniera tassativa i casi in cui può procedersi a compensazione del debito tributario. E, al di fuori di questi, il mancato pagamento dei debiti che l'interessato può addurre nei confronti dello Stato o dell'ente pubblico, rientra nel suo normale rischio d'impresa, di tipo privatistico, e non può certo elidere l'obbligazione, di natura pubblicistica, che egli ha verso l'Erario. Va chiarito che tale assunto non sia incompatibile con la più recente precisazione fornita da questa stessa Suprema Corte secondo cui non è escluso che, in astratto, siano possibili casi - il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato - nei quali possa invocarsi l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria (così sez. 3 n. 10813 del 6.2.2014, Servida, non massim.; conf. la cit. sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. il 4.2.2014, Mercutello,rv. 258055). E' tuttavia necessario, perchè in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l'aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l'azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non ultimo, il ricorso al credito bancario). In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, nei termini di cui si è detto, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili (così la già citata e condivisibile sentenza 5467/14 di questa Sezione).