La fattispecie giunta all’esame della Suprema Corte (ordinanza n. 22647/17), prende le mosse da una situazione assai frequente nella pratica; un alloggio era stato locato a più soggetti, uno dei quali, trascorso un breve periodo, aveva annunciato verbalmente alla proprietaria locatrice che se ne sarebbe andato, assicurandole però, al contempo, che avrebbe provveduto a trovare un sostituto. Il recesso veniva, quindi, formulato senza preavviso e senza alcuno scambio epistolare tra le parti.
Orbene, il sostituto non era stato trovato e perciò la proprietaria locatrice dell’appartamento si era trovata a ricevere un canone di locazione decurtato della somma che sarebbe dovuta essere versata dall’inquilino che aveva traslocato.
La proprietaria locatrice, adita la competente Autorità giudiziaria, aveva ottenuto l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti del co-conduttore dell’appartamento, per il pagamento dei canoni di locazione dovuti in quanto maturati a seguito del recesso senza preavviso esercitato da quest’ultimo.
Le successive Autorità di merito adite, avevano però al contrario dato ragione al conduttore.
La Suprema Corte, ha però capovolto le precedenti statuizioni. In particolare il supremo consesso, ha affermato che, ai sensi dell’art 1, comma 4, della L. n. 431/1998 (ovvero la Legge sulle locazioni abitative) il contratto di locazione a uso abitativo senza la forma scritta, è affetto da nullità assoluta,
attesa la ratio di contrasto all’evasione fiscale.
La Suprema Corte, proseguendo nella propria disamina, ha altresì statuito che la risoluzione consensuale di un contratto può, genericamente, avvenire anche con una manifestazione tacita di volontà, salvo che per il contratto dal quale si recede non sia richiesta a pena di nullità la forma scritta.
Ciò premesso, trattandosi nel caso di specie di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta, ne consegue ovviamente la necessità della forma scritta altresì per il recesso dallo stesso.