A un medico veniva contestato il reato di “omissione di atti d’ufficio” (p. e p. dall’art. 328 C.P.) in quanto questi si rifiutava di visitare a domicilio un’anziana signora che, bloccata a causa di una frattura, presentava gravi difficoltà respiratorie. Nello specifico, il medico d’urgenza veniva condannato per il reato di cui all’art. 328 C.P., sia in primo che in secondo grado, “per essersi rifiutato, in qualità di medico di continuità assistenziale, di recarsi presso il domicilio di una paziente di età avanzata, impossibilitata a muoversi, e di cui il figlio aveva denunciato, in una telefonata al 118, gravi difficoltà respiratorie”.
L’uomo ricorreva quindi innanzi alla Corte di Cassazione lamentando, tra le altre, la circostanza che, in base alla normativa regolamentare e agli accordi collettivi, non vi sarebbe alcun obbligo di visita domiciliare in capo al medico, essendo la relativa decisione rimessa alla discrezionalità del sanitario che la esercita in base alla valutazione del caso concreto. Il legale del medico sottolineava, in particolare, la circostanza che nell’episodio contestato le condizioni dell’anziana signora furono valutate con il codice bianco il che avrebbe certificato l’assenza di gravi rischi per la salute della donna.
La Corte di Cassazione, tuttavia, rigettava il ricorso promosso dal medico (Cass., sez. VI, sentenza n. 45057 dd. 25.11.2022). Nello specifico, i giudici di legittimità hanno osservato che “l’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale postula un apparente automatismo ove stabilisce che il medico di continuità assistenziale è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dal paziente entro la fine del turno” mentre “altre fonti normative puntualizzano che il medico deve valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità di fornire un consiglio telefonico, o recarsi al domicilio per una visita, o invitare l’assistito in ambulatorio”.
Alla luce della vicenda oggetto del processo, la Corte di Cassazione ha chiarito che per il medico non vi erano alternative: a causa dell’età e delle condizioni della paziente - la signora per la quale era stato richiesto l’intervento era molto anziana, aveva riportato una frattura alla costola e non era dunque nelle condizioni di recarsi a una visita ambulatoriale - il sanitario doveva recarsi presso l’abitazione della donna.
Ad aggravare la situazione del medico, era altresì la circostanza - emersa nel corso del processo - che questi non si era nemmeno prestato ad un consulto telefonico, non avendo il sanitario neppure rivolto un consiglio terapeutico puntuale: il medico, infatti, si era limitato a dire alla donna che aveva due alternative, chiedere l’intervento di un’ambulanza ovvero, se la situazione fosse rimasta stazionaria, rivolgersi, il giorno dopo, al medico di base.