Di recente il Tribunale di Bolzano sezione lavoro è tornato a pronunciarsi nell'ambito di un procedimento ex legge 92/2012 avente ad oggetto l'impugnazione da parte di un lavoratore dipendente del licenziamento irrogato al medesimo ad inizio anno per asserita giusta causa.
La vicenda traeva origine da una contestazione disciplinare che la società, datrice di lavoro, aveva indirizzato al proprio lavoratore dipendente ad inizio anno dopo che - sosteneva la stessa datrice di lavoro - si fosse accorta improvvisamente che il proprio dipendente - responsabile del personale ed addetto alle buste paga - avesse percepito nel corso degli ultimi undici anni retribuzioni ben più elevate rispetto alle retribuzioni tabellari previste dal CCNL. La società licenziava per l'effetto il lavoratore adducendone la giusta causa, mentre quest'ultimo impugnava dapprima stragiudizialmente il licenziamento, e successivamente innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Bolzano.
A seguito della costituzione in giudizio della società datrice di lavoro il giudice (trattandosi della prima fase sommaria del rito Fornero) procedeva agli atti di istruzione indispensabili e, dopo la concessione di un termine per il deposito di note difensive depositava ordinanza conclusiva del procedimento ex art. 1, comma 48 e ss., legge 92/2012.
Il giudice accoglieva in toto il ricorso presentato dal lavoratore dipendente, e conseguentemente, ritenendo non sussistenti i fatti al medesimo contestati condannava la società resistente a reintegrare il ricorrente nel proprio posto di lavoro precedentemente occupato, con medesime mansioni e qualifica, ed a pagargli un'indennità risarcitoria dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra; oltre alla condanna al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione.
Tralasciando i molteplici profili di analisi condotti dal giudice del lavoro, per quanto qui interessa è stato nuovamente ribadito un principio di diritto più volte sancito dal Supremo Collegio Romano. Infatti, il necessario punto di partenza per la risoluzione delle controversie in materia d'impugnazione del licenziamento, deve necessariamente essere il fondamentale principio secondo cui l'onere della prova in tema di licenziamento disciplinare grava soltanto sul datore di lavoro. A riprova ci si richiama ad una recentissima massima della Cassazione (cfr. Cassazione sezione lavoro, sentenza 25203 di data 08.11.2013), secondo cui "in tema di licenziamento per giusta causa l'onere probatorio della giusta causa, posto a carico del datore di lavoro, comporta che questi fornisca la prova completa di tutti gli elementi della fattispecie e richiede altresì che tale prova sia certa non essendo previsto nel nostro ordinamento un licenziamento fondato esclusiavamente su prove indiziarie non adeguatamente verificate".
La datrice di lavoro infatti benché si fosse costituita con una corposa memoria difensiva non è stata in grado di dimostrare nessuno degli elementi della fattispecie contestata al proprio lavoratore. Come noto l'ordinanaza giudiziale ex art. 1 , comma 48 e ss, legge 92/2012 risulta essere immediatamente esecutiva senza alcuna possibilità di sua sospensione sino alla sentenza conclusiva del relativo grado di giudizio, sicché avverso la stessa la società datrice di lavoro potrà presentare opposizione sempre innanzi al medesimo ufficio giudiziario nel termine di trenta giorni decorrenti dalla data della sua pronuncia in udienza.