Un uomo, preda della gelosia verso la consorte, finiva sotto processo per avere inviato ininterrottamente messaggi su un social network a un amico della moglie. Per i giudici di merito di primo e di secondo grado, il soggetto doveva ritenersi responsabile del reato p. e p. dall’art. 612 bis C.P. (“stalking”) in quanto, avendo inviato plurimi messaggi dal contenuto minatorio ed offensivo, aveva ingenerato nel conoscente della donna un fondato timore per la propria incolumità.
L’uomo ricorreva innanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, in particolare, la mancanza di prova circa il fatto che l’amico della moglie, a causa ed in conseguenza delle condotte del marito, non solo soffrisse di un perdurante e grave stato di ansia ma che fosse stato anche costretto a cambiare le proprie abitudini di vita. La Suprema Corte (sentenza n. 42874 dd. 10.11.2022), tuttavia, rigettava il ricorso sottolineando come i molteplici messaggi - oltre ottanta - fossero stati inviati in un arco temporale ristretto e risultasse per un tanto giustificata la conclusione sull’esistenza di un fondato timore dell’amico della moglie per la propria incolumità tuttalpiù considerate le precedenti condotte assunte dal marito sempre nei confronti del medesimo soggetto (lesioni e minacce aggravate).