Una persona aveva preso a calci e pugni la porta d’accesso di un Pronto Soccorso e per questo era stato rinviato a giudizio per rispondere del reato di danneggiamento (art. 635 C.P.). Tuttavia, se è vero che il Giudice non aveva dubbio alcun nel ritenere che la condotta dell’imputato integrasse il suddetto reato, riteneva di assolvere l’uomo posto che l’episodio non doveva ritenersi di particolare gravità.
L’imputato, pur assolto, decideva di ricorre innanzi alla Corte di Cassazione in quanto “puntava” ad ottenere una piena assoluzione. Nello specifico, l’uomo si lagnava del fatto che non vi fosse prova alcuna circa il fatto che la porta del Pronto Soccorso avesse riportato danni: un teste, al contrario, aveva confermato che il battente, pur colpito da calci e pugni, era rimasto integro.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 5563/2023), nel respingere il ricorso promosso dall’uomo, ha ricordato che “il delitto di danneggiamento può consistere nella distruzione totale di un bene o nel suo deterioramento, quando il bene oggetto del danneggiamento venga reso in tutto o in parte inservibile”, precisando ulteriormente che “per la configurabilità del reato di danneggiamento mediante deterioramento è necessario che la capacità della cosa di soddisfare i bisogni umani o l’idoneità della cosa di rispettare la sua naturale destinazione risulti ridotta con compromissione della relativa funzionalità”.
Nel caso di specie la porta del Pronto Soccorso era invero risultata essere “meno idonea” al suo funzionamento considerato che, a seguito dei pugni e calci dell’uomo, era necessario impiegare più forza per chiuderla. Pacifico, quindi, che l’imputato dovesse ritenersi responsabile del delitto di danneggiamento in ragione del fatto che la condotta di questi aveva compromesso - “sia pure in modo contenuto” -, la funzionalità del bene.