E' pur vero che quanto appreso dal religioso per via del suo ministero può essere non riferito nel corso di un processo penale. Se si tratta però di confidenze apprese nella vita sociale e quindi non durante l'attività religiosa, vi è l'obbligo di rispondere alle domande e l'eventuale reticenza o falsa deposizione, comporta l'avvio di un procedimento penale per falsa testimonianza.
L'eventuale presenza del segreto professionale su quanto conosciuto dal testimone per ragione del proprio ministero, ufficio o professione non può essere rilevata direttamente dal giudice, ma deve essere eccepita dallo stesso soggetto chiamato a deporre, nell'ipotesi in cui egli venga a trovarsi in una delle situazioni individuate dall'articolo 200 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 9866 del 11/02/2009 dep. 04/03/2009 Rv. 242701).
Più recentemente, con riferimento alla previsione di cui all'art. 4, comma 4. L. 25.3.1985, il quale prevede che gli ecclesiastici non possono essere obbligati a deporre su quanto conosciuto a ragione del proprio ministero, è stato affermato che - esclusa ogni incapacità di testimoniare - l'ecclesiastico che abbia esercitato funzioni di giudice ecclesiastico ha la facoltà di eccepire, ricorrendone le condizioni, il segreto professionale sui fatti, comportamenti e notizie acquisiti attraverso l'intreccio della funzione giudiziaria con quella di ministro di culto (Cass. sez. 5, 22327/2004, ced 228821). Nella motivazione di tale pronuncia, si afferma obiter che il giudice deve avvertire l'ecclesiastico della facoltà di astensione stabilita dal combinato disposto dell'art. 200 cod. proc. pen. e dell'art. 4 L. 121/1985.