La Suprema Corte, recentemente espressasi (sentenza n. 23931 dd. 30.05.2019), ha affermato il principio in base al quale “in tema di circolazione stradale, l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 189, comma 6, C.d.S. (fuga in caso di sinistro stradale), ricorre quando l’utente della strada, al verificarsi di un incidente – idoneo a recar danno alle persone e riconducibile al proprio comportamento – ometta di fermarsi per prestare eventuale soccorso, non necessario per contro essendo che il soggetto agente abbia in concreto constatato il danno provocato alla vittima”.
Nel reato di fuga stradale, l’accertamento dell’elemento psicologico va compiuto in relazione al momento in cui l’agente pone in essere la condotta e, quindi, alle circostanze concretamente rappresentate e percepite in quel momento, le quali siano univocamente indicative di un incidente ricollegabile al proprio comportamento ed idoneo ad arrecare danno alle persone, dovendo riservare ad un successivo momento il definitivo accertamento delle effettive conseguenze del sinistro.
La Corte prosegue statuendo che, il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente, deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire nè l’identificazione del conducente, nè quella del veicolo, nè lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica.