Con la recente sentenza n. 25309 del 7 giugno 2019, la Suprema Corte ha affermato che anche la condotta di autoerotismo del soggetto agente sfociata nell'attingimento di un indumento della vittima con il liquido seminale integra il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis C.P.
Nel caso di specie il ricorrente era stato condannato dalla Corte d'Appello di Messina alla pena di due anni di reclusione per il delitto di violenza sessuale, ritenendosi peraltro sussistenti gli estremi della circostanza attenuante dei “casi di minore gravità” di cui al comma 3 della predetta disposizione, in quanto aveva costretto la persona offesa, una ragazza di età superiore agli anni diciotto e seduta accanto a lui sul sedile di un autobus, a subire atti sessuali consistiti nel «guardarla insistentemente fino a raggiungere uno stato di eccitazione al quale dava sfogo masturbandosi, eiaculando e riversando sulla donna il proprio liquido seminale, approfittando delle circostanze di tempo e di luogo tali da impedire interventi difensivi da parte della parte offesa, impietrita e incapace di proferire parola, e rimasta bloccata dalla presenza dell'imputato».
La Corte di Cassazione ha dichiarato infondato il ricorso, confermando la sentenza di secondo grado ed estendo quindi l’ambito applicativo del delitto di violenza sessuale, tale da rendere punibili ai sensi dell'art. 609-bis c.p. anche atti sessuali non coinvolgenti in alcun modo la “corporeità sessuale” della persona offesa, come richiesto sin d'ora (quali ad esempio toccamenti delle cosce, abbracci sessualmente connotati, baci sgraditi, e prima ancora la masturbazione della vittima imposta dall'agente).