La Corte di Cassazione ha ribadito con una recente statuizione (Cass., sez. 3 penale, sentenza n. 57498/18), il proprio orientamento in tema di coltivazione di piantine di marijuana.
In particolare, secondo i Giudici, la coltivazione di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti integra il reato id cui all’art. 28, D.P.R. N. 309/1990, a prescindere dalla finalità della condotta, ovverosia dalla natura “domestica” o meno della coltivazione. Quel che conta, infatti, è che
“la condotta rechi in sé un nucleo minimo di offensività anche potenziale”.
Per quanto attiene al concetto di “offensività” della condotta, la Corte ribadisce come vi siano sostanzialmente 2 orientamenti della giurisprudenza.
Secondo il primo orientamento, per ritenere integrato il reato di cui all’art. 28 sopra richiamato, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta di marijuana, ma è altresì necessario verificare che “tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato”.
Per il secondo orientamento, invece, il reato di cui sopra è integrato per la mera coltivazione di una pianta di marijuana. In sostanza, non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza dalle infiorescenze, ma la conformità della pianta al “tipo botanico previsto” e la sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente.