Il mancato ritrovamento di bustine di cellophane "idonee al confezionamento di dosi" o di un taglierino o di un bilancino o di quanto altro abitualmente utilizzato per lo "spaccio" di sostanza stupefacente, mina la possibilità di ritenere con certezza che quella sostanza fosse destinata allo spaccio a terzi e ad escludere che fosse, invece, detenuta per uso personale.
Porta a tali conclusioni anche la lettura della giurisprudenza di legittimità la quale ha da sempre affermato che "in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto - e l'eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall'art. 73-bis, comma primo, lett. a), del D.P.R. n. 309 del 1990 - non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione" (Sez. 3, Sentenza n. 46610 del 09/10/2014) e che "ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è la difesa a dover dimostrare la destinazione all'uso personale della droga detenuta, ma è l'accusa che, secondo i principi generali, deve dimostrare la detenzione della droga per un uso diverso da quello personale" (Sez. 6, Sentenza n. 19047 del 10/01/2013).