La Corte di Cassazione (sentenza n. 14685 dd. 12/05/2020), ha nuovamente ribadito il principio secondo il quale, in caso di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non opera la scriminante sportiva del c.d. “rischio consentito” quando non c’è alcun collegamento tra l’evento lesivo e la competizione sportiva, quando la violenza esercitata sia evidentemente sproporzionata rispetto alle caratteristiche del gioco e alla sua natura ed infine quando l’esercizio della violenza sia il fine prevalente perseguito dall’agente e non sia invece inserito nel contesto di gioco.
Per meglio dire, la violenza nell’ambito di una competizione può sicuramente essere giustificata purchè essa sia finalisticamente inserita nel contesto della stessa attività sportiva e non trasmodi in una violenza fine a sé stessa. Sussiste, infatti, per pacifica giurisprudenza sul punto, il reato di lesioni allorquando la violenza sia per l’appunto fine a sé stessa e la gara sia soltanto l’occasione per l’agente di porre in essere la condotta violenta indirizzata nei confronti dell’avversario.
Nel caso di specie, durante una partita di calcio, l’imputato aveva sferrato un pugno seguito da un colpo al braccio alla persona offesa mentre il gioco era fermo, ovverosia mentre le squadre erano in attesa di un calcio di punizione che avrebbe dovuto essere battuto.
Se si fosse invece trattato di lesioni provocate in un normale contrasto di gioco, probabilmente l'interessato sarebbe stato assolto o, al più, avrebbe dovuto rispondere del meno grave reato di lesioni colpose. Sul punto, bisogna osservare, che ogni caso va valutato in maniera autonoma per verificarne la specificità.